Ecco la seconda parte del saggio del prof. Antonio Petrucci per Inventori di strade (la prima parte è stata pubblicata la settimana scorsa):
PARTE SECONDA
Degli uomini e degli dei
La tesi è che la filosofia contribuisca a distruggere la religione politeista, di cui mostra i limiti e “l’eccesso di umanità”, e apra così la strada al monoteismo (un solo dio).
Cominciamo con Senofane (VI sec. – V sec. a. C.), uno dei pre-socratici, spesso dimenticato dai professori di filosofia. C’è un lungo frammento, che cito interamente, per il suo significato.
“Gli Etiopi dicono che i loro dei sono camusi e neri, i Traci che sono cerulei di occhi e rossi di capelli. Ma se i buoi e i cavalli e i leoni avessero mani e potessero disegnare e fare ciò appunto che gli uomini fanno, i cavalli disegnerebbero figure di dei simili ai cavalli e i buoi ai buoi, e farebbero corpi forgiati così come ciascuno di loro è forgiato. Omero e Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quanto presso gli uomini è oggetto di onta e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi reciprocamente”.
Credo che il brano non abbia bisogno di commento. Il punto debole di una religione umana, troppo umana, era stata da Senofane colto perfettamente.
L’Intelligenza che governa le cose
La filosofia procede a rapidi passi – dall’acqua di Talete all’atomo di Democrito. (Atomo è parola greca: vuol dire “indivisibile” ed è l’ultima particella della materia, la sentinella del nulla.) Democrito è rigorosamente meccanicista: bastano gli atomi e il vuoto in cui si muovono per generare il mondo. Anassagora, invece, contrappone al meccanicismo di Democrito la intelligenza di una Mente divina (ed è la prima volta). E’ la Mente a trasformare il caos in cosmo. La filosofia pre-socratica, partita dalla fisica dei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco), è arrivata all’atomo, ma anche all’intelligenza che governa le cose.
Protagora, però, il primo dei Sofisti, getta la spugna.
“Degli dei non sono in grado di sapere né se sono né se non sono né quali sono: molte sono infatti le difficoltà che si frappongono: la grande oscurità della cosa e la limitatezza della vita umana”.
Condannato per empietà, per le sue idee sugli dei, Protagora viene esiliato da Atene. Ma è più famoso il caso di Socrate, condannato per corruzione dei giovani (insegnava a ragionare!), ma anche perché non crede negli dei della città e vuole introdurre nuove divinità. Effettivamente, nel discorso che tiene in sua difesa (siamo nel 399 a.C.), Socrate non fa che parlare di un dio, Febo (Apollo), che gli avrebbe affidato una difficile missione, ma raramente lo chiama Febo – più spesso è il dio o addirittura dio. Fino alla frase finale, che porta a compimento uno straordinario discorso, tutto incentrato sulla coerenza del vivere, ma anche permeato dal senso della sacralità del vivere.
“È giunta l’ora di separarci. Voi per continuare a vivere, io per andare a morire. Ma cosa sia meglio, è oscuro a tutti, tranne che a dio”.
Un’immagine adeguata della divinità
Veniamo a Platone. E’ lui che riprende il discorso di Senofane e lo porta alle estreme conseguenze. Omero, Esiodo e i poeti tragici, dice Platone, danno un’immagine inadeguata, anzi scorretta, della divinità: presentano cioè gli dei come cause di mali, autori di malvagità, ma anche propensi alla metamorfosi e alla menzogna. Siamo nel libro II della Repubblica. Platone fissa dunque le leggi a cui i poeti si dovrebbero, nello Stato ideale, attenere. La prima è che la divinità, essendo buona, non può essere causa di male, ma solo di bene. (Per il male, occorrerà trovare “altra causa”.) La seconda legge vuole che la divinità, essendo perfetta, non possa mentire né trasformarsi in ciò che, comunque, uomo o animale, sarebbe meno perfetto di lei.
Nella Repubblica, che è dedicata al tema della giustizia, sia nell’uomo che nello Stato, Platone si limita a criticare i poeti. Ci sono altri dialoghi, però, in cui egli crea dei veri “miti alternativi” a quelli grossolani della tradizione religiosa. Zeus, ad es., diviene una figura positiva, se non addirittura paterna. Egli interviene a favore degli uomini che stanno per distruggersi, malgrado l’invenzione della tecnica, nel Protagora; per ristabilire la giustizia, nel Gorgia; e ancora, impietosito, per salvare gli uomini, spaccati a metà in un momento di collera, nel Simposio.
Anche all’aldilà, Platone ha dedicato miti bellissimi che servono a combattere la paura della morte e a darne, anzi, una rappresentazione positiva e serena (v. Fedone, Gorgia, Repubblica). Uno di questi miti conclude proprio la Repubblica, il dialogo dedicato al grande tema della giustizia. Qui viene descritto un inferno e un paradiso: entrambi, però, sono “provvisori”. Solo i tiranni e coloro che si sono macchiati di colpe altrettanto terribili non possono abbandonare l’inferno – la loro pena è eterna – mentre tutti gli altri (perfino i giusti e i filosofi) riprendono la via della terra.
Così, sotto l’influenza dei Misteri orfici e del pitagorismo, Platone apriva la strada al Cristianesimo.
L’esistenza di Dio
Aristotele (384 – 322 a.C.) ha dimostrato nella sua Metafisica l’esistenza di Dio, che è la Causa Prima, la Causa Finale, l’Atto Puro ecc., aprendo la strada alle “cinque vie” di S. Tommaso d’Aquino (o almeno a tre di esse). Per Aristotele, però, Dio è Pensiero, un’Intelligenza che pensa se stessa e che ignora il mondo. È un Dio allo specchio che non sa altro al di fuori di sé – il che è condizione della sua “felicità”. L’uomo può rendersi simile a Dio attraverso la vita teoretica cioè attraverso la conoscenza concettuale. Ma non può ottenere che Dio abbassi il suo sguardo verso di lui.
Siamo lontani dalla religione ebraica (nella quale Dio è persona, ama il mondo e soprattutto l’uomo e supera la sua trascendenza manifestandosi come “teofania”) e, soprattutto, da quella cristiana (nella quale Dio si fa uomo e accetta una morte infamante): ma bisogna riconoscere che la filosofia greca, con la sola forza della ragione, si è spinta molto avanti sulla strada del monoteismo. L’utilizzazione che i filosofi cristiani (sia durante la Patristica che durante la Scolastica) faranno dei pensatori greci non è stata dunque né casuale né arbitraria.