“Migrazione” o “nomadismo” o “mobilità”, o semplicemente “realtà con cui fare i conti?

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Nel Piccolo Teatro in Piazza di Sant’Ilario d’Enza, giovedì 19 gennaio si è tenuto con una composita e lusinghiera partecipazione di pubblico il convegno-dibattito sul tema “Migranti: quale futuro?”, che Inventori di strade ha promosso nell’intento di approfondire la complessa problematica della migrazione in Italia sotto un profilo culturale e con lo sguardo aperto sul futuro, in armonia con la strada 2012 degli stessi Inventori: “È il futuro che ci chiama”.

Avere una chiara coscienza della realtà nel travagliato presente per rendersi capaci di elaborare progetti è indice di vitalità di una persona, di una famiglia, di una comunità. Nei due modi infatti di leggere il tempo – dal passato verso il presente, oppure dal futuro verso il presente – il tempo vitale parte dal futuro, mentre il presente non è che una risposta agli appelli che ci vengono dal futuro: l’energia vitale, la statura di un gruppo è direttamente proporzionale all’importanza che al suo interno assumono il futuro e i progetti. Così, richiamandosi ai motivi informatori della nuova strada, ha presentato la serata il presidente di Inventori, Licia Ferrari.

Come noto dalle informative già apparse sul sito, sono intervenuti tre relatori, ciascuno traendo il proprio contributo da una consolidata esperienza sul campo – Laura Salsi, presidente della locale sezione della FILEF – Federazione Italiana Lavoratori Emigrati e Famiglie; Aziz Sadid, responsabile reggiano dell’ANOLF – Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere; Gianmarco Marzocchini, direttore della Caritas Diocesana di Reggio Emilia – Guastalla – tutti attivamente coordinati da Davide Nitrosi, capo servizio nella redazione provinciale del quotidiano Il Resto del Carlino.

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È emersa in primo luogo l’opportunità di una chiarificazione semantica: si parla qui di “migranti”, certo meglio dell’abusato e superato termine “extracomunitari”, con accezione già in sé negativa dal momento che dice ciò che non si è, uno che è “fuori”, escluso dalla comunità. Occorre tuttavia andare ancora oltre guardando – appunto – al futuro di società europee costituite da popolazioni nuove, sempre più eterogenee, la cui integrazione è reclamata dalla giustizia nei confronti delle persone e dal bene stesso di queste società.

Ai movimenti migratori del passato determinati dalla drammatica ricerca di una fonte di sussistenza per sé e per la propria famiglia, “migrazioni della memoria” – in cui, tra l’altro, larghe masse di italiani hanno conosciuto la medesima esperienza di coloro che oggi gli italiani sono chiamati ad accogliere – si sono sostituiti spostamenti motivati sì dal lavoro, ma anche – con altrettanta drammaticità – da motivi politici, e poi dallo studio, dal desiderio di nuove esperienze e altro, così che si può parlare di un “nomadismo” delle culture al posto di una sola cultura “sedentaria”, o piuttosto più in generale d’una “mobilità” grande e complessa.

“Migrazione” significa oggi in Italia “nuovi cittadini”, tra cui moltissimi i giovani che – lo si voglia o no – appartengono al naturale futuro del Paese, tra cui ancora in quote crescenti le donne, quelle che incontrano le maggiori difficoltà di inserimento perché spesso confinate all’ambito domestico per via dei loro stessi condizionamenti culturali.
Dell’integrazione è fondante il riconoscimento della cittadinanza in ragione di uno ius soli (è cittadino d’una nazione chi nasce sul suo territorio) in luogo d’uno ius sanguinis (è cittadino d’una nazione chi nasce da un genitore che già ne possiede la cittadinanza). Su tale punto s’incentra l’attuale dibattito normativo nel nostro Paese, ove – caso ormai raro nell’emisfero sviluppato, ovvero “privilegiato”, del Pianeta – è tuttora vigente il secondo ius, con pesanti ripercussioni che vanno in particolar modo a colpire i giovani “migranti” di seconda generazione, che sono nati in Italia e che per ciò stesso “migranti” non sono. Giovani formati nelle scuole e nelle università italiane, che hanno una mentalità del tutto analoga a quella dei loro coetanei italiani, vengono considerati stranieri: subiscono in quanto tali gravi limitazioni alla stessa libertà di movimento e se giunti alla maggiore età non trovano un lavoro in tempi brevi diventano dei clandestini (ciò in dipendenza delle vigenti disposizioni, di cui alla Legge 5 febbraio 1992, n.91).

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Nel 1851 gli immigrati in Italia si ragguagliavano allo 0,4% della popolazione, a 150 anni dall’Unità sono il 7,5%, oltre 4,5 milioni in numero, di cui il 48% maschi e il 52% femmine, queste ultime – come detto – in aumento. Nel 2050 maschi e femmine saranno 14 milioni. Quanto al lavoro, il 73% risulta oggi attivo. Nel 2010 sono stati 78.000 i nati da “migranti”, il 13,9% delle totali nascite in Italia, tale da evitare il calo demografico. Nel 2050 questa incidenza raggiungerà il 18,4%. Nel mondo della scuola 710.000 gli studenti “stranieri” (pari al 7,9% della popolazione scolastica) ma per il 42,2% loro sono nati in Italia.

Interessanti, in quanto confermano nella micro-realtà le tendenze d’insieme, i dati relativi al Comune di Sant’Ilario d’Enza forniti dal Vice-Sindaco Guido Roncada: a fine 2011 gli stranieri residenti sono 1.202, pari al 10,7% del totale di 11.185 unità. La popolazione straniera è costituita da 55 etnie, di cui 21 europee, in testa l’Albania con 212 unità. Nell’ultimo anno la totale popolazione è aumentata di 164 unità con 107 nuove nascite (-7 rispetto al 2010), mentre gli stranieri sono aumentati di 114 unità con 21 nuove nascite, pari al 19,6% del totale. Ciò che più significa in prospettiva è la composizione per fasce di età: gli italiani si distribuiscono per il 19% tra 1 e 18 anni, per il 61% tra 19 e 65, per il 20% over 65; gli stranieri sono per il 24% tra 1 e 18 anni, per il 73% tra 19 e 65 e soltanto per il 3% over.

Quella della migrazione è in definitiva una “realtà”, un fenomeno strutturale ed irreversibile, un mondo nuovo che sta premendo sul vecchio e che le leggi non valgono ad arrestare, una cosa con cui fare i conti per affrontare responsabilmente il futuro. Numerosi i rischi implicati ma tante anche le opportunità per tutti. La nuova “realtà” (di bambini, di giovani, di giovani adulti) parla decisamente di questo futuro così che realismo unito a sensibilità porta a concludere che “autoctoni” e “migranti” hanno bisogno gli uni degli altri per una crescita armonica del Paese. Il “fare i conti” reclama il recupero d’una solidarietà che non sia intesa in senso unidirezionale, da colui che dà a colui che riceve, ma come “responsabilità in solido”, insieme, per un destino comune. In ultima analisi siamo tutti sollecitati a porci la domanda: «Quanto sono disposto a dare di me stesso per il bene comune, crescendo in responsabilità ed in solidarietà?».


© Foto Mario Cocchi, che Inventori di strade ringrazia per l’apprezzato servizio.