Ecco la sintesi dell’incontro di Inventori di strade tenuto con Francesco Zappettini lo scorso 22 aprile. Incontro animato, effervescente a tratti, per la continua interazione del numeroso pubblico sollecitato dal Relatore quasi a costruire ex-novo sul tema “Educare e crescere: una sfida dell’odierna complessità”: «Non ci prendiamo uno spazio di gioco ma di dialogo sicuramente […] vi accorgerete ben presto che senza le vostre voci la serata non va avanti […] se silenzio sarà, silenzio sia, ma secondo me, dalle vostre facce, non sarà silenzio». Silenzio non è stato davvero e Francesco Zappettini ci ha abilmente accompagnato nel coprire un buon tratto della nostra strada “Corpo che sono e corpo che ho”.
1. Cos’è la libertà?
Le risposte: capacità di fare il bene, volontà di scegliere, responsabilità, fare ciò che mi pare, poter sbagliare, uno spazio per costruire, stima della scelta altrui, è riconoscere chi siamo, è felicità, possibilità, la libertà qualifica l’uomo.
“Possibilità” e “fare” indicano comunque un “limite”: la mia libertà “confina” con gli altri. È un cammino, è amare. Amare prima di tutto te stesso perché se non ami te stesso riduci la tua libertà. Poi amare gli altri nella relazione, amare gli altri come sono: requisito per allargare la stessa capacità di amare.
Essere amato è condizione per poter amare. Bisogno dell’altro, consapevolezza di dipendere dall’altro. La condizione: dimenticarsi di sé, esser liberi dai propri bisogni. Se non sono capace di porre una distanza da me stesso non posso esercitare la libertà, quindi non amo.
2. Quali sono i bisogni di cui ci facciamo schiavi?
Le risposte: bisogno di apparire, di considerazione (autostima), di essere competitivi/produttivi, bisogno di appagamento (star bene, il wellness), di essere “in contatto” (diverso dall’essere “in relazione”), d’esser sempre all’altezza, di essere efficienti e di evadere.
Per esempio: una persona che vive di volontariato rischia di essere gratificata dalla propria capacità di darsi totalmente e, inconsapevolmente, dipende da questo assunto, ne ha bisogno, non esiste al di fuori di esso.
Occorre elaborare consapevolmente la possibilità di poter fare a meno dei propri bisogni. Di contro c’è il dramma d’un mondo che è fabbrica di bisogni. Il tempo ci uccide con gli stessi bisogni che ci schiavizzano. Un sistema che organizza per noi bisogni di cui siamo schiavi: libertà negata.
I bisogni prima diventano “necessità” e poi si trasformano in “diritti”. Tu “hai diritto” e se il tuo diritto non è soddisfatto ti senti defraudato. In questo modo l’uomo funziona in modo puramente materiale. Più senti il bisogno, più sei spinto a soddisfare il tuo “diritto”, fino anche alla violenza. Anche se sei molto amato, se non ti liberi consapevolmente dai tuoi bisogni guardando oltre te stesso, rimani lì, come strozzato
Due ostacoli alla libertà citati da Andrea Porcarelli. Il primo è la società liquida, il secondo è la ferita congenita che chiamiamo peccato originale, la fatica a sintonizzarci con l’Altissimo che è fatica esistenziale di ciascuno. La società liquida in realtà è un pantano. Aggiunge nuovo peso – un sistema che zavorra – e anziché innalzarci ci abbassa e ci fa ritenere appagati quando il corpo è soddisfatto.
In passato i bisogni facevano scattare la solidarietà. Oggi scatta l’individualismo, l’uomo perde il suo valore intrinseco: tu ti uccidi lentamente senza saperlo, e con te chi ti è vicino.
Inerzia del nostro tempo. La parte alta del nostro essere così non lavora mai. Quando guardi l’altro negli occhi? Chi è libero di farlo? Libertà di ascoltare, guardare, sentire l’altro: rieducarci a una grammatica diversa dal contatto con noi stessi. Condivisione e scambio, invece che “contatto”.
3. Cosa avviene quando i bisogni non sono superati?
Le risposte: frustrazione, depressione, angoscia, solitudine, crisi, insoddisfazione, aggressività, vergogna di essere sfigati.
La vergogna, profondo sentimento di essere sbagliati come persona: io sono sbagliato, in questo momento vorrei sparire.
Siamo passati dalla società del “senso di colpa” alla società della “vergogna” (dal sentimento di Edipo al sentimento di Narciso).
Al bimbo di tre anni non piace perdere, piuttosto non gioca. Vergogna per i risultati deludenti: non sopporto un voto insufficiente, anche se nulla ho fatto per evitarlo.
4. Come si fa a costruire?
Prima di tutto accettazione, che è sdrammatizzazione, autoironia (non è superficialità o leggerezza nel rendersi conto dei propri limiti).
Poi pazienza (un’altra vittima della società oggi): non casca il mondo, si riparte. Senza la sdrammatizzazione non c’è neanche la pazienza.
Cancellare il giudizio come categoria mentale.
Assunzione di responsabilità.
La fermezza. Il padre nei confronti del figlio si assume la responsabilità dell’essere padre, dell’aver ricevuto senza merito un mandato da esercitare, e il figlio deve accettare questo. Nello stesso tempo il padre deve render ragione al figlio delle proprie posizioni, senza temere di mostrargli il proprio limite: solo così il figlio impara a riconoscere il suo.
Senza la fermezza (nei confronti di se stessi prima che degli altri) non si va avanti. Il ruolo educativo non può giocarsi sull’autorità/distanza, ma va giocato sulla sfida della vita. Esser ben piantati. Sulla fermezza si costruisce una nuova grammatica.
5. Cosa si può incontrare su questa strada?
La fatica di stabilire rapporti e mantenerli. Uno stimolo continuo per mantenersi adeguati. Rabbia, per l’impotenza di fronte a molto potere (mass-media). Necessità per chi educa d’inventare modi sempre nuovi, creatività.
Creatività – Bellezza – Libertà: questa è la nuova sintesi.
Nota bene: in assenza di ripresa video o audio questa elaborazione si basa su appunti. Di qui un duplice appello: chi ha elementi per migliorarla intervenga liberamente con un proprio commento sul blog; chi assente all’incontro desiderasse dei chiarimenti, ponga altrettanto liberamente le proprie domande ed avrà risposta.
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