Rondoni in sintesi

Davide Rondoni
Davide Rondoni

In attesa di poter offrire, in aggiunta al video già disponibile, l’intero testo scritto, tentiamo qui una sintesi dell’intervento di Davide Rondoni a Inventori di strade del 6 marzo 2010.

Tutti siamo poeti: quando la realtà ti colpisce tu la “soprannomini” per guardarla meglio. Così Dante quando incontra Beatrice sente l’urgenza di parole per mettere a fuoco quel che gli è successo, il segreto del mondo che ha visto incontrando lei, e fa la Divina Commedia per questo. La poesia sono parole che si animano per guardare meglio la vita. Le parole del poeta, mettendo a fuoco la sua vita, ti permettono di meglio mettere a fuoco la tua: questo è il prodigio che fa la poesia.

Il più grande inno al corpo si trova nella Divina Commedia. Nel XIV del Paradiso le anime esplodono in un grido di nostalgia del proprio corpo per poter vedere i loro cari o farsi vedere così come si sono conosciuti: tu sei tu perché sei unità imprescindibile di anima e corpo. Forse non c’è altra pagina così azzardata in onore al corpo.

La grande sfida è se il corpo è una monade, una cosa isolata, o se ne comprendo il valore mettendolo in relazione con qualcosa d’altro, come del resto avviene per ogni altra cosa. Questa è la grande questione culturale che abbiamo di fronte oggi. Per esempio nel dibattito sul testamento biologico: se io mi concepisco come una monade ci sono soltanto io e lo Stato e devo perciò andar dal notaio per stabilire ciò che lo Stato farà di me in punto di morte, se invece io vivo una vita di relazione so che in qualsiasi momento avrò qualcuno vicino a me. Lo stesso problema si presenta per la solitudine: l’alternativa alla solitudine è l’amicizia ma hanno sostituito l’amicizia con la comunicazione e la tecnologia non dà relazione ma solo comunicazione e la solitudine non si risolve con la comunicazione ma con la relazione.

Rimbaud, un poeta “maledetto”, cioè “assoluto” (secondo la definizione di Paul Verlaine), dice: “Je est un autre”, “Io è un altro”, perché al fondo del fondo di sé c’è qualcosa d’altro che lo muove, che lo motiva, una relazione fondante cui obbedire. Per trovare te stesso devi trovare un altro, tant’è che una persona, quando racconta se stessa, lo fa attraverso i legami che ha: “Sono sorella di…figlio di…, amico di…, sono di…”.

Il nostro corpo porta l’impronta di non esistere per se stesso e d’esser fatto per altro. Il primo elemento del corpo è che “è dato”, non te lo sei deciso tu. L’altra cosa è che il corpo cerca l’altro, un altro corpo, cerca un “tu”, cerca un’alterità. È il primo bordo, riva di quell’abisso che cerca l’abisso. Noi siamo un abisso che invoca l’abisso. Ma se pensi che il corpo dell’altro sia l’abisso che ti soddisfa, resti deluso, perché quel corpo è solo la riva di quest’abisso. L’uomo merita Dio, non un altro uomo. Non confondere l’altra riva come fosse l’abisso. “Il sesso a volte è l’infinito dei cani” (Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte): si confonde una scintilla per il tutto. Se non educhiamo i giovani all’infinito che si gusta nell’amicizia, nell’arte, nell’esperienza religiosa, è chiaro che loro si buttano come piccoli cani sul sesso, perché l’uomo è fatto per l’infinito e quindi lo cerca, dappertutto. Non trovando l’originale, si buttano sulla copia, ed è comprensibile che sia così.

Pur tra mille travisamenti ma con una sorprendente tenacia, il cristianesimo ha difeso il corpo fino all’estremo della sua sacralità e importanza, non solo invitando a non sperperarlo ma come luogo di responsabilità e di valore, perché quando uno entra in chiesa vede un Corpo che è sulla croce. Dio non è un’idea, è un Corpo. Se Dio si è fatto Corpo, vuol dire che il corpo merita Dio. Alla fine, in Paradiso, noi aspetteremo i nostri corpi.