Porcarelli 2 in sintesi

Andrea Porcarelli
Andrea Porcarelli

Presentiamo la sintesi del secondo intervento tenuto lo scorso 10 aprile da Andrea Porcarelli sulla strada “Corpo che sono e corpo che ho”, con il titolo “Identità della persona tra dimensione corporea e dimensione spirituale”, che ha costituito la pars construens del complessivo contributo del Relatore a Inventori di strade.

Affrontare il tema con uno sguardo contemplativo per riuscire a vedere quello che pure abbiamo sempre sotto gli occhi, ma non riusciamo a vedere. Il rischio è proprio il non avere più la capacità di meravigliarsi di nulla, perché si considera tutto quanto cade sotto gli occhi della mente come ovvio. Cos’è in realtà l’ovvio? Dal latino “obvius” = “ciò che si trova per la strada”, quindi ciò che cade sempre sotto gli occhi e non desta meraviglia. Per noi l’essere totalmente assorbiti dalle preoccupazioni della quotidianità, tanto da non lasciarci smuovere da nulla, appunto perché ogni fatto ci sembra ovvio.

“Identità della persona”: cosa intendiamo per “persona” umana? È un termine di cui la nostra cultura è debitrice verso il cristianesimo. “Persona”, secondo san Tommaso d’Aquino, è un nome che sta a sottolineare una particolare dignità, è un nome che si applica a tutti coloro che sono “sussistenti”, ovvero di natura spirituale: le “Persone” divine; le creature spirituali, angeli e demoni; la “persona” umana. Essere “persona” è il modo di esistere più elevato, quello di chi esercita l’atto di essere nella natura spirituale. In genere, nel nostro guardare gli altri, fissiamo l’attenzione sul modo di agire, che però è conseguenza del modo di essere. Dobbiamo guardare invece la persona umana a partire dall’alto, a partire dalla sua natura spirituale.

Le attività spirituali sono quelle dell’intelligenza e della volontà. Usare l’intelligenza, cioè saper vedere al di sotto dell’apparenza, capire, conoscere, calcolare. Usare la volontà, per tendere ai beni di natura spirituale, mentre spontaneamente si tende ai beni materiali, sotto l’effetto della sola tendenza emozionale. La nostra volontà è libera perché nessuno dei beni finiti è tale da attrarla in modo invincibile. Avere la capacità di volere per gli altri il bene che spontaneamente vogliamo per noi. Tutti vogliono spontaneamente essere felici, tutti aspirano alla felicità. Questo desiderio ha una caratteristica unica: questo bene possiamo volerlo anche per qualcun altro, con lo stesso atto della nostra volontà.

Vi è una triplice tendenza alla base della vitalità spirituale. I beni di natura spirituale sono fatti per essere condivisi, mentre i beni materiali sono obiettivo di un possesso che esclude gli altri. L’idea che condivido con altri si rafforza anche in me. I valori di natura spirituale non sono escludenti, ma hanno un’esistenza più forte quando sono condivisi.

Vi è un triplice dinamismo nella natura spirituale: l’intelligenza è strutturalmente insaziabile, è continuamente stimolata dalla ricerca del più e del meglio, è aperta all’infinito; anche la nostra capacità di desiderare è aperta all’infinito, l’apertura al desiderio non trova un limite intrinseco; volere il bene di qualcun altro, ci chiediamo sempre se possiamo amare di più e sempre rispondiamo di sì, non si può trovare un limite alla capacità di amare di più e meglio.

Un secondo elemento: la persona umana rispetto a tutti gli altri esseri ha una sua specificità perché è fatta per esistere con un’anima spirituale, unita strettamente alla forma di un corpo fisico. L’anima umana si trova come sulla linea di confine tra la sostanza corporea e la sostanza spirituale, cittadina di due mondi. L’uomo è l’unico essere corporeo dell’universo capace di muoversi su questi confini. Per questo la persona umana richiede di essere educata, perché non nasce già con tutte le sue capacità operative sviluppate. La persona umana è fatta per imparare poco a poco, per conquistare giorno per giorno la capacità di vivere la sua vitalità spirituale.

Dalle catechesi di Giovanni Paolo II sull’amore umano. “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gen 1,26): prima di creare l’uomo, il Creatore quasi rientra in se stesso per cercarne il modello e l’ispirazione nel mistero del suo Essere, che già qui si manifesta in qualche modo come il “Noi” divino, Da questo mistero scaturisce, per via di creazione, l’essere umano. La corporeità umana non può essere letta secondo la deriva materialistica, ma neppure in termini dualistici, di contrapposizione tra corpo e spirito. L’atto creativo di Dio crea unitariamente fisicità e spiritualità. In questa realtà si pone anche la promessa della Resurrezione: unificazione tra spirito e corpo. Vivere quindi nell’unità psico-fisica: accompagnare il cammino della crescita nella fisicità con la crescita nella spiritualità. Come c’è la crescita fisica, così deve esserci anche la crescita nella sapienza e nella grazia. Come Gesù crescere “in età, sapienza e grazia” (cfr. Lc 2,52).

Su questo cammino si incontrano due ostacoli. Il primo sono le ferite del peccato: questo cammino di piena conquista è così soggetto ad urtare in pietre di inciampo, per cui occorre un lavoro supplementare di educazione interiore. Secondo ostacolo è quello della cultura dominante, con cui occorre confrontarsi nel rischio continuo di cedere alla sua suggestione. Dalla cultura dominante viene la sollecitazione ad adagiarsi nel “così fan tutti”, e “ma che male c’è?”, e “perché dovrei fare il contrario?”, soprattutto se questo mi chiede anche della fatica in più. Dalle buone intenzioni bisogna poi ancora muoversi in cammino verso le buone opere, entrando nell’elemento centrale del cammino educativo. Già Aristotele diceva che non è facile, se pure si è individuato un orientamento retto, avere la volontà e la capacità di seguirlo. Si deve costruire la propria identità, scontrandosi con le spigolosità che si incontrano al proprio interno, combattendo il rischio di confondere la propria autenticità con la rinuncia a migliorarsi. Spesso ci si sente portati a fare quello che non si vorrebbe fare, perché si riconosce che non è bene, ma si è troppo deboli per rifiutarlo. Prendiamo forza dalla frase-confessione di Oscar Wilde: “Non ero più capitano di me stesso”, per affermare invece con forza: “Voglio essere capitano di me stesso!”.

Ecco allora il fondamento di quest’opera: la ricerca di conquista delle quattro virtù cardinali, sulle quali poggiare tutti gli sforzi per costruire la propria vita etica: saggezza, giustizia, fortezza, temperanza.

  1. La saggezza, o prudenza, è la virtù che guida i giudizi della ragion pratica, nel momento di prendere una decisione concreta. Sapere quello che bisogna fare e, nello stesso tempo, saper allenare la mente per vedere quello che è giusto fare. Essere fedeli a se stessi.
  2. La giustizia, come esercizio di una volontà retta nel rapporto con gli altri. Onestà nel comportamento, nelle relazioni, nel prendere le decisioni. Saper capire i bisogni di tutti per guidarsi alle decisioni da prendere. A questa virtù fa capo anche la sincerità, perché la prima esigenza della giustizia è proporre la verità. E alla giustizia si sposa anche la gratitudine, il riconoscere quello che si riceve.
  3. La fortezza guida alla capacità di reagire di fronte alle difficoltà, contro la tentazione del “lasciar perdere”. L’esempio sublime della fortezza è il sacrificio di un martire. Più semplicemente chiediamoci cosa possa costare chiedere scusa a qualcuno perché si riconosce di essere in torto verso di lui. La fortezza di saper riconoscere le proprie colpe e le proprie debolezze, per decidere anche noi: “Tornerò da mio Padre!”. Vorrei tanto nascondermi, ma capisco che devo vincermi, devo superarmi. Alla fortezza si lega anche la pazienza: la pazienza nelle cose piccole aiuta a superare con fortezza le prove grandi, aiuta a temprare l’anima.
  4. La temperanza è la capacità di moderare l’attrattiva di ciò che ci attira in modo illecito. Occorre mettere in conto con serenità che è perfettamente normale essere attirati verso le cose che toccano i nostri sensi. Essere capaci però di pensare che ciò che attira non necessariamente deve soggiogare. “Sono io il capitano della nave!”, e allora, come Ulisse, posso anche andare incontro alle “sirene”, ma so legarmi all’albero della nave per passare oltre senza cadere, nella mia libertà. Saper costruire giorno dopo giorno una saggia indipendenza da ciò che attrae. Fare un allenamento quotidiano, anche attraverso qualche rinuncia voluta, allo scopo di essere sempre di più padroni di se stessi. Saper resistere e passare oltre, mentre le “sirene” del mondo ci ripetono continuamente: “Ma che male c’è?”.

Il fatto di esistere come persone umane su questa linea di confine tra sostanze corporee e sostanze spirituali è ciò che appartiene strettamente alla nostra realtà di vita: seguire un percorso, prima affiancati da altri nella propria educazione, poi sapersi accompagnare da soli, con la propria coscienza maturata. Essere sempre padroni di se stessi e protagonisti alla guida del proprio cammino. Certamente, la realtà del mondo in cui viviamo non aiuta, ma è sempre stato così, anche in tempi diversi dal nostro. “Essere capitani della nave!”. Nessuna di queste virtù funziona però se è vissuta come un ordine imposto dall’esterno, ma solo se è interiorizzata. Il dinamismo delle virtù cresce nell’interiorità attraverso un cammino progressivo di conquista, in un desiderio di bellezza interiore altrettanto forte del desiderio di bellezza esteriore. Compito interiore di ciascuno è lasciarsi sedurre dalla dignità della persona umana, saper riconoscere e rispettare, saper valorizzare questa dignità.