12/01/2013 – Incontro con l’esorcista Don Ermes Macchioni – Il mistero del male: se lo conosci lo eviti

Incontro con l'esorcista - 12 gennaio 2013
Incontro con l’esorcista Don Ermes Macchioni – Il mistero del male: se lo conosci lo eviti – Locandina – 12 gennaio 2013

Chi è don Ermes Macchioni? Secondo alcuni un guerriero della Chiesa.

E’ uno dei tre esorcisti della diocesi di Reggio Emilia e Guastalla, sacerdote parroco di San Michele a Sassuolo. E’ un esperto di occultismo, cresciuto grazie agli insegnamenti di padre Gabriele Amorth, conosciuto dal grande pubblico per trasmissioni radiofoniche ed interventi sui giornali e di un maestro come monsignor Guerrino Orlandini.
A don Ermes le etichette non piacciono: lui ama definirsi medico dell’anima e curatore dello spirito.

In una intervista ha dichiarato: «Le persone devono conoscerci e dobbiamo smettere di pensare all’esorcista come colui che lavora in segreto in sagrestia. Amo stare con la gente, perché il mio compito è quello di portare il bene».

Don Ermes non si stanca di denunciare con forza una realtà che subdolamente sfrutta la sofferenza altrui: quella di maghi, astrologi e santoni, veri e propri truffatori, che secondo i dati delle associazioni anti-plagio ogni anno coinvolgono circa  11 milioni di persone, per un giro di affari di circa 5 miliardi di euro che sfuggono totalmente al fisco.

Come è possibile che ancora oggi tante persone si lascino abbindolare da maghi ed astrologi?

Siamo immersi nel business dell’occultismo, con il moltiplicarsi di produzioni cinematografiche, serie televisive e narrativa sul vampirismo, gli angeli e, in generale, sulla vita dopo la morte, che tanta presa hanno sugli adolescenti, ma ci limitiamo a “consumare” questi prodotti di intrattenimento, senza porci alcuna seria domanda sull’occultismo.

Vogliamo, dunque, provare ad interrogarci, ascoltando la provocazione di una voce “esperta” in questo campo.

Don Macchioni fornisce la sua chiave di lettura. Non è certamente l’unica, ma riteniamo che discuterne con lui costituisca una via per affrontare un argomento difficile.

Invitiamo, dunque, a partecipare all’incontro, anche solo per per curiosità o … per scetticismo!

E’ una buona occasione per porre domande ed esprimere dubbi su argomenti che di rado si ha l’occasione di trattare.

“Uno sguardo che cambia la vita” – Incontro con Pietro Sarubbi, il “Barabba” nel film “The Passion” di Mel Gibson

Uno sguardo che cambia la vita - Locandina
Uno sguardo che cambia la vita – 10 novembre 2012 – Locandina

Sabato 10 Novembre 2012 ore 16.30 Il circolo culturale INVENTORI DI STRADE propone l’incontro con Pietro Sarubbi l’attore che ha interpretato Barabba nel film di Mel Gibson “La Passione di Cristo”.

Può un uomo essere convertito da uno sguardo? È questa la semplice e commovente testimonianza di Pietro Sarubbi, interprete di Barabba nel celebre film di Mel Gibson, The Passion of the Christ. Proprio attraverso quel ruolo è iniziato il suo cammino verso Gesù.

Pietro Sarubbi è l ‘attore nel ruolo di Barabba nel film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, Usa 2004.

«Barabba non parla perché non ha più parole, ha urlato tutto il suo fiato per l’ingiustizia subìta. Barabba non è un ladrone, ma è un nobile discendente del capo degli Zeloti… è stato fatto prigioniero e torturato fino a essere trasformato in una bestia e come le bestie non ha parole, ma esprime tutto con gli occhi. Per questo ti ho scelto, per fare il mio Barabba. Dovrai apparire come una belva, ma in fondo ai tuoi occhi ci deve essere lo sguardo di un uomo onesto». Ricorda così, l’attore Pietro Sarubbi, le parole del regista Mel Gibson sul set de La Passione di Cristo.

All’artista che osava domandare una parte più corposa, almeno una qualche battuta da mettere in bocca all’uomo liberato al posto di Gesù, Gibson risponde di non domandare oltre. Sarubbi ha taciuto, com’era scritto nel copione. Nella pellicola ha portato solo il suo sguardo smarrito, incredulo e drammatico. Il volto rovinato, pesto. Di un poveraccio salvato da un innocente messo a morte. Come il personaggio che interpretava nel kolossal americano, così, in un certo senso, lo stesso Sarubbi è stato cambiato da un evento in cui apparentemente non ha avuto alcuna parte attiva.

09/06/2012 – “Nel dialogo la salvezza dell’uomo”. Con Stanislaw Grygiel

Stanislaw Grygiel - Foto
Stanislaw Grygiel – Foto

Sabato 9 giugno 2012, lungo la strada “È il futuro che ci chiama”, gli Inventori hanno l’onore e il piacere di incontrare il prof. Stanisław Grygiel per una conversazione sul tema “Nel dialogo la salvezza dell’uomo“.

Il prof. Grygiel non ha certo bisogno di presentazioni. Ricordiamo soltanto che dopo essere stato a lungo in Polonia redattore del mensile cattolico Znak e professore di filosofia alla Pontificia Facoltà di Teologia di Cracovia, nel 1980 venne chiamato a Roma da Papa Giovanni Paolo II perchè partecipasse alla fondazione del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia presso l’Università Lateranense. Lì ha insegnato Antropologia filosofica fino a divenire professore emerito, ma non ha mai cessato la sua attività accademica, poiché è tuttora Direttore della Cattedra Karol Wojtyła presso lo stesso Istituto e tiene seminari e corsi non solo a Roma ma anche – in qualità di visiting professor – nelle sedi che l’Istituto ha in diverse parti del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, a Washington.

Un appuntamento dunque da non mancare:

sabato 9 giugno 2012 ore 16,30
sala alta dell’Oratorio S. Giovanni Bosco in Sant’Ilario d’Enza
aperto a tutti

“La religione politeista e la filosofia greca” di Antonio Petrucci (2)

Ecco la seconda parte del saggio del prof. Antonio Petrucci per Inventori di strade (la prima parte è stata pubblicata la settimana scorsa):

PARTE SECONDA

Degli uomini e degli dei

La tesi è che la filosofia contribuisca a distruggere la religione politeista, di cui mostra i limiti e “l’eccesso di umanità”, e apra così la strada al monoteismo (un solo dio).

Cominciamo con Senofane (VI sec. – V sec. a. C.), uno dei pre-socratici, spesso dimenticato dai professori di filosofia. C’è un lungo frammento, che cito interamente, per il suo significato.

Gli Etiopi dicono che i loro dei sono camusi e neri, i Traci che sono cerulei di occhi e rossi di capelli. Ma se i buoi e i cavalli e i leoni avessero mani e potessero disegnare e fare ciò appunto che gli uomini fanno, i cavalli disegnerebbero figure di dei simili ai cavalli e i buoi ai buoi, e farebbero corpi forgiati così come ciascuno di loro è forgiato. Omero e Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quanto presso gli uomini è oggetto di onta e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi reciprocamente”.

Credo che il brano non abbia bisogno di commento. Il punto debole di una religione umana, troppo umana, era stata da Senofane colto perfettamente.

L’Intelligenza che governa le cose

La filosofia procede a rapidi passi – dall’acqua di Talete all’atomo di Democrito. (Atomo è parola greca: vuol dire “indivisibile” ed è l’ultima particella della materia, la sentinella del nulla.) Democrito è rigorosamente meccanicista: bastano gli atomi e il vuoto in cui si muovono per generare il mondo. Anassagora, invece, contrappone al meccanicismo di Democrito la intelligenza di una Mente divina (ed è la prima volta). E’ la Mente a trasformare il caos in cosmo. La filosofia pre-socratica, partita dalla fisica dei quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco), è arrivata all’atomo, ma anche all’intelligenza che governa le cose.

Protagora, però, il primo dei Sofisti, getta la spugna.

Degli dei non sono in grado di sapere né se sono né se non sono né quali sono: molte sono infatti le difficoltà che si frappongono: la grande oscurità della cosa e la limitatezza della vita umana”.

Condannato per empietà, per le sue idee sugli dei, Protagora viene esiliato da Atene. Ma è più famoso il caso di Socrate, condannato per corruzione dei giovani (insegnava a ragionare!), ma anche perché non crede negli dei della città e vuole introdurre nuove divinità. Effettivamente, nel discorso che tiene in sua difesa (siamo nel 399 a.C.), Socrate non fa che parlare di un dio, Febo (Apollo), che gli avrebbe affidato una difficile missione, ma raramente lo chiama Febo – più spesso è il dio o addirittura dio. Fino alla frase finale, che porta a compimento uno straordinario discorso, tutto incentrato sulla coerenza del vivere, ma anche permeato dal senso della sacralità del vivere.

“È giunta l’ora di separarci. Voi per continuare a vivere, io per andare a morire. Ma cosa sia meglio, è oscuro a tutti, tranne che a dio”.

Un’immagine adeguata della divinità

Veniamo a Platone. E’ lui che riprende il discorso di Senofane e lo porta alle estreme conseguenze. Omero, Esiodo e i poeti tragici, dice Platone, danno un’immagine inadeguata, anzi scorretta, della divinità: presentano cioè gli dei come cause di mali, autori di malvagità, ma anche propensi alla metamorfosi e alla menzogna. Siamo nel libro II della Repubblica. Platone fissa dunque le leggi a cui i poeti si dovrebbero, nello Stato ideale, attenere. La prima è che la divinità, essendo buona, non può essere causa di male, ma solo di bene. (Per il male, occorrerà trovare “altra causa”.) La seconda legge vuole che la divinità, essendo perfetta, non possa mentire né trasformarsi in ciò che, comunque, uomo o animale, sarebbe meno perfetto di lei.

Nella Repubblica, che è dedicata al tema della giustizia, sia nell’uomo che nello Stato, Platone si limita a criticare i poeti. Ci sono altri dialoghi, però, in cui egli crea dei veri “miti alternativi” a quelli grossolani della tradizione religiosa. Zeus, ad es., diviene una figura positiva, se non addirittura paterna. Egli interviene a favore degli uomini che stanno per distruggersi, malgrado l’invenzione della tecnica, nel Protagora; per ristabilire la giustizia, nel Gorgia; e ancora, impietosito, per salvare gli uomini, spaccati a metà in un momento di collera, nel Simposio.

Anche all’aldilà, Platone ha dedicato miti bellissimi che servono a combattere la paura della morte e a darne, anzi, una rappresentazione positiva e serena (v. Fedone, Gorgia, Repubblica). Uno di questi miti conclude proprio la Repubblica, il dialogo dedicato al grande tema della giustizia. Qui viene descritto un inferno e un paradiso: entrambi, però, sono “provvisori”. Solo i tiranni e coloro che si sono macchiati di colpe altrettanto terribili non possono abbandonare l’inferno – la loro pena è eterna – mentre tutti gli altri (perfino i giusti e i filosofi) riprendono la via della terra.

Così, sotto l’influenza dei Misteri orfici e del pitagorismo, Platone apriva la strada al Cristianesimo.

L’esistenza di Dio

Aristotele (384 – 322 a.C.) ha dimostrato nella sua Metafisica l’esistenza di Dio, che è la Causa Prima, la Causa Finale, l’Atto Puro ecc., aprendo la strada alle “cinque vie” di S. Tommaso d’Aquino (o almeno a tre di esse). Per Aristotele, però, Dio è Pensiero, un’Intelligenza che pensa se stessa e che ignora il mondo. È un Dio allo specchio che non sa altro al di fuori di sé – il che è condizione della sua “felicità”. L’uomo può rendersi simile a Dio attraverso la vita teoretica cioè attraverso la conoscenza concettuale. Ma non può ottenere che Dio abbassi il suo sguardo verso di lui.
Siamo lontani dalla religione ebraica (nella quale Dio è persona, ama il mondo e soprattutto l’uomo e supera la sua trascendenza manifestandosi come “teofania”) e, soprattutto, da quella cristiana (nella quale Dio si fa uomo e accetta una morte infamante): ma bisogna riconoscere che la filosofia greca, con la sola forza della ragione, si è spinta molto avanti sulla strada del monoteismo. L’utilizzazione che i filosofi cristiani (sia durante la Patristica che durante la Scolastica) faranno dei pensatori greci non è stata dunque né casuale né arbitraria.

“La religione politeista e la filosofia greca” di Antonio Petrucci (1)

petrucci
A corollario del suo apprezzato intervento del 20 aprile u.s., il prof. Antonio Petrucci ha preparato per Inventori di strade il breve ma denso saggio che qui pubblichiamo per la prima parte, rinviando la seconda tra una settimana:

PARTE PRIMA

La religione politeista

Che cosa è il politeismo antropomorfico? È una religione con molti dei (poli-teismo) di forma umana (antropo-morfo). Tale fu la religione dei Greci, al tempo di Omero e di Esiodo, dei miti sugli dei e sugli eroi.

Le dodici divinità principali vivevano sul monte Olimpo e passavano il tempo ad amare, a banchettare (con nettare e ambrosia) e a divertirsi (ognuno aveva i suoi svaghi preferiti). Quando si annoiavano, del resto, non esitavano a mescolarsi con gli uomini e a lasciarsi coinvolgere dalle passioni umane. Le avventure amorose di Zeus erano infinite e la terra era popolata da eroi suoi figli (il più famoso dei quali fu Eracle).

Oggi, a noi, questo pittoresco, folcloristico, teatrale, mondo di divinità ricorda una soap-opera con tutti gli intrighi, i matrimoni, i tradimenti, le gelosie, i divorzi, la rete di parentele di una post-moderna famiglia “allargata”.

Eppure, bene o male, il politeismo antropomorfico costituì un passo avanti verso il monoteismo rispetto alle precedenti religioni naturaliste o animiste – poiché aveva distinto dio dalla natura, lo aveva personalizzato e, infine aveva cercato di costituire una gerarchia fra divinità minori e maggiori, gerarchia che aveva il suo capo in Zeus.

La religione politeista aveva anche cercato di introdurre le categorie del bene e del male – insomma un’etica teologica – riuscendoci poco in verità. Le passioni umane erano troppo forti e gli dei non riuscivano a dare il buon esempio… Poiché alla fine non erano che uomini, nient’altro che uomini, col privilegio dell’immortalità e della giovinezza.

Anche la loro trascendenza era “minimalista”: non vivevano “nei cieli”, ma sulla terra, in cima ai monti o negli abissi del mare, perfino nel sottosuolo, dove ribolle la lava dell’Etna o passeggiano i morti.

I sacrifici umani

La religione politeista antropomorfica costituisce un passo avanti anche rispetto alle religioni totemiche, caratterizzate da divinità animali e da sacrifici umani. Due sono i miti da ricordare.

Il primo è quello di Teseo e del minotauro.

Racconta dunque il mito che c’era questo mostro – metà uomo e metà toro – concepito da Pasifae – che Minosse re di Creta aveva fatto rinchiudere in un labirinto appositamente costruito. Ogni nove anni gli Ateniesi dovevano mandare a Creta sette giovani e sette giovinette che, introdotti nel labirinto, servivano da pasto alla belva. Ma un giorno l’eroe Teseo decide di affrontare il minotauro. Con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse, riesce ad ucciderlo. I quattordici giovani vengono liberati. La schiavitù è finita. Teseo ha ucciso il minotauro e, forse, anche una religione cruenta. Senonché…

All’inizio sembra che qualcosa, nel mito, non funzioni come dovrebbe. Teseo, che è stato aiutato da Arianna, innamorata di lui, la porta con sé, ma poi l’abbandona (la dimentica?) su un’isola deserta, esponendola a morte certa. Ma arriva il dio Dioniso e fa di Arianna la sua compagna. Forse il mito allude alla nascita di un’altra religione (dopo quella dell’uomo-toro) – quella di Dioniso, il dio dell’ebrezza. Ma il politeismo è per sua natura un “sistema aperto” e un dio in più o in meno non fa crollare il “sistema”.

L’altro mito ci conduce all’inizio della guerra di Troia.

La flotta greca, che deve salpare per Troia, è bloccata da venti contrari. L’oracolo impone il sacrificio della giovane più bella e più nobile – e questa è proprio la figlia del re Agamennone, Ifigenia (pare che il re abbia ucciso un cervo sacro alla dea Artemide, ma questo sembra un motivo fiabesco più che mitico) In ogni caso Agamennone procede al sacrificio della figlia. Possiamo immaginare il suo strazio, ma la sacrifica, nell’interesse della collettività. Dieci anni dopo, i Greci riescono ad espugnare Troia. Al suo ritorno in patria, Agamennone viene ucciso da Egisto, amante di Clitennestra, madre di Ifigenia, che non ha perdonato al marito il sacrificio della figlia ed ha covato in cuore per dieci anni la vendetta terribile. A sua volta Oreste, figlio di Agamennone e di Clitennestra, per vendicare il padre, uccide la madre e l’amante di lei. A questo punto le Furie (simbolo della follia) inseguono Oreste, costringendolo a fuggire, e a vagare disperatamente, in cerca di un po’ di pace. Molti mali, dunque, anzi una catena maledetta di eventi, sono la conseguenza di quel sacrificio – il che potrebbe già essere un giudizio negativo. Poi si scopre che Ifigenia, al momento del sacrificio, era stata sostituita dalla dea Artemide con un cervo (o una cerbiatta) e promossa sacerdotessa. Bella conclusione, che dimostra come in fondo agli dei dell’Olimpo non piacessero molto i sacrifici umani.

Il destino domina su tutti

Hegel, il filosofo tedesco che scrisse, fra l’altro, una Filosofia della Religione, annovera la religione greca fra quelle spiritualiste accanto all’ebraismo – una religione caratterizzata da un rigoroso monoteismo. La cosa sembra un poco assurda, ma…

Ma c’è il fato che domina su tutti, uomini e dei – ed è forse lui, nella religione politeista, il vero Dio. Ananke, la Necessità, stringe tutto, la natura e la storia, nel suo invincibile abbraccio. E alla fine le Moire (la morte) colpiscono tutti senza fare eccezioni. Incredibilmente, gli dei possono ritardare gli eventi (il ritorno di Odisseo ad Itaca, ad es.), ma non evitare che accadano, se è destino che accadano. Per questo Zeus scuote il capo quando gli immortali cavalli da lui donati ad Achille piangono la morte di Patroclo. Non avrei mai dovuto donare degli immortali a un mortale, pensa Zeus. Anche lui, come tutti, deve piegare il capo di fronte alla Necessità.

Nuove esigenze

Col tempo, e con la disgregatrice opera svolta (come vedremo) dai filosofi, da Senofane a Platone, questa pittoresca religione si svuotò di significato. Nacquero allora i così detti Misteri eleusini e orfici. Se anche non erano collegati al dio Dioniso, ne condividevano però il significato profondo – un diverso senso del sacro e un diverso modo di mettersi in contatto con la divinità. Nei Misteri di Eleusi si onoravano Demetra e la figlia Persefone, prigioniera del dio Ade, simbolo della primavera che sempre ritorna, quindi della rinascita. C’era, però, ancora, il senso forte della divinità della natura. Nei Misteri orfici, invece, finisce per prevalere un’impostazione decisamente spiritualista: è fondamentale la teoria dell’anima e della reincarnazione che la costringe in un corpo. È una vera svolta culturale che influenzerà perfino la filosofia, soprattutto pitagorica e platonica. Così, se da un lato la filosofia aveva contribuito con la sua critica al tramonto della religione politeista, le nuove forme di religiosità, a loro volta, finiscono per influenzare la filosofia.

20/04/2012: “Politeismo, monoteismo e filosofia” con Antonio Petrucci

Politeismo monoteismo e filosofia - Locandina
Politeismo monoteismo e filosofia – 20 aprile 2012 – Locandina

L’uomo e la ricerca di Dio è il sottotitolo con cui il nostro Relatore dà corpo al tema “Politeismo, monoteismo e filosofia“: la ricerca senza fine di Dio lungo i secoli della storia dell’uomo. Un sentiero estremamente avventuroso e apparentemente inattuale poichè il mondo d’oggi sembra rifiutare di metterci piede e semmai voltargli le spalle.

Antonio Petrucci, già docente di Filosofia presso l’Istituto Magistrale “Matilde di Canossa” di Reggio Emilia – ora Liceo “Canossa” – è autore di numerosi saggi filosofici e storici. Collaboratore di giornali e riviste, scrive tra l’altro su “La Libertà” – settimanale diocesano – e sul periodico “Via Emilia” – ben noto ai santilariesi. È membro del direttivo dell’Associazione “Amici del Canossa”.

Appuntamento dunque venerdì 20 aprile alle ore 21.00 nella sala alta del nuovo Oratorio San Giovanni Bosco in Sant’Ilario d’Enza, aperta a tutti.