29/05/2010 – Il “Festival Biblico” a Vicenza

Andiamo insieme al FESTIVAL BIBLICO 2010: “L’ospitalità delle Scritture”.

Interno del Teatro Olimpico
Interno del Teatro Olimpico

Per il programma della nostra giornata clicca qui:

Festival Biblico 2010 Vicenza – Locandina

Per maggiori dettagli sul Festival vai al sito dedicato.

Qui invece puoi trovare tutte le iniziative di sabato 29 maggio:

Festival Biblico 2010 Vicenza – Programma per adulti

Festival Biblico 2010 Vicenza – Programma per bambini

Zappettini in sintesi

Ecco la sintesi dell’incontro di Inventori di strade tenuto con Francesco Zappettini lo scorso 22 aprile. Incontro animato, effervescente a tratti, per la continua interazione del numeroso pubblico sollecitato dal Relatore quasi a costruire ex-novo sul tema “Educare e crescere: una sfida dell’odierna complessità”: «Non ci prendiamo uno spazio di gioco ma di dialogo sicuramente […] vi accorgerete ben presto che senza le vostre voci la serata non va avanti […] se silenzio sarà, silenzio sia, ma secondo me, dalle vostre facce, non sarà silenzio». Silenzio non è stato davvero e Francesco Zappettini ci ha abilmente accompagnato nel coprire un buon tratto della nostra strada “Corpo che sono e corpo che ho”.

1. Cos’è la libertà?

Le risposte: capacità di fare il bene, volontà di scegliere, responsabilità, fare ciò che mi pare, poter sbagliare, uno spazio per costruire, stima della scelta altrui, è riconoscere chi siamo, è felicità, possibilità, la libertà qualifica l’uomo.

“Possibilità” e “fare” indicano comunque un “limite”: la mia libertà “confina” con gli altri. È un cammino, è amare. Amare prima di tutto te stesso perché se non ami te stesso riduci la tua libertà. Poi amare gli altri nella relazione, amare gli altri come sono: requisito per allargare la stessa capacità di amare.

Essere amato è condizione per poter amare. Bisogno dell’altro, consapevolezza di dipendere dall’altro. La condizione: dimenticarsi di sé, esser liberi dai propri bisogni. Se non sono capace di porre una distanza da me stesso non posso esercitare la libertà, quindi non amo.

2. Quali sono i bisogni di cui ci facciamo schiavi?

Le risposte: bisogno di apparire, di considerazione (autostima), di essere competitivi/produttivi, bisogno di appagamento (star bene, il wellness), di essere “in contatto” (diverso dall’essere “in relazione”), d’esser sempre all’altezza, di essere efficienti e di evadere.

Per esempio: una persona che vive di volontariato rischia di essere gratificata dalla propria capacità di darsi totalmente e, inconsapevolmente, dipende da questo assunto, ne ha bisogno, non esiste al di fuori di esso.

Occorre elaborare consapevolmente la possibilità di poter fare a meno dei propri bisogni. Di contro c’è il dramma d’un mondo che è fabbrica di bisogni. Il tempo ci uccide con gli stessi bisogni che ci schiavizzano. Un sistema che organizza per noi bisogni di cui siamo schiavi: libertà negata.

I bisogni prima diventano “necessità” e poi si trasformano in “diritti”. Tu “hai diritto” e se il tuo diritto non è soddisfatto ti senti defraudato. In questo modo l’uomo funziona in modo puramente materiale. Più senti il bisogno, più sei spinto a soddisfare il tuo “diritto”, fino anche alla violenza. Anche se sei molto amato, se non ti liberi consapevolmente dai tuoi bisogni guardando oltre te stesso, rimani lì, come strozzato

Due ostacoli alla libertà citati da Andrea Porcarelli. Il primo è la società liquida, il secondo è la ferita congenita che chiamiamo peccato originale, la fatica a sintonizzarci con l’Altissimo che è fatica esistenziale di ciascuno. La società liquida in realtà è un pantano. Aggiunge nuovo peso – un sistema che zavorra –  e anziché innalzarci ci abbassa e ci fa ritenere appagati quando il corpo è soddisfatto.

In passato i bisogni facevano scattare la solidarietà. Oggi scatta l’individualismo, l’uomo perde il suo valore intrinseco: tu ti uccidi lentamente senza saperlo, e con te chi ti è vicino.

Inerzia del nostro tempo. La parte alta del nostro essere così non lavora mai. Quando guardi l’altro negli occhi? Chi è libero di farlo? Libertà di ascoltare, guardare, sentire l’altro: rieducarci a una grammatica diversa dal contatto con noi stessi. Condivisione e scambio, invece che “contatto”.

3. Cosa avviene quando i bisogni non sono superati?

Le risposte: frustrazione, depressione, angoscia, solitudine, crisi, insoddisfazione, aggressività, vergogna di essere sfigati.

La vergogna, profondo sentimento di essere sbagliati come persona: io sono sbagliato, in questo momento vorrei sparire.

Siamo passati dalla società del “senso di colpa” alla società della “vergogna” (dal sentimento di Edipo al sentimento di Narciso).

Al bimbo di tre anni non piace perdere, piuttosto non gioca. Vergogna per i risultati deludenti: non sopporto un voto insufficiente, anche se nulla ho fatto per evitarlo.

4. Come si fa a costruire?

Prima di tutto accettazione, che è sdrammatizzazione, autoironia (non è superficialità o leggerezza nel rendersi conto dei propri limiti).

Poi pazienza (un’altra vittima della società oggi): non casca il mondo, si riparte. Senza la sdrammatizzazione non c’è neanche la pazienza.

Cancellare il giudizio come categoria mentale.

Assunzione di responsabilità.

La fermezza. Il padre nei confronti del figlio si assume la responsabilità dell’essere padre, dell’aver ricevuto senza merito un mandato da esercitare, e il figlio deve accettare questo. Nello stesso tempo il padre deve render ragione al figlio delle proprie posizioni, senza temere di mostrargli il proprio limite: solo così il figlio impara a riconoscere il suo.

Senza la fermezza (nei confronti di se stessi prima che degli altri) non si va avanti. Il ruolo educativo non può giocarsi sull’autorità/distanza, ma va giocato sulla sfida della vita. Esser ben piantati. Sulla fermezza si costruisce una nuova grammatica.

5. Cosa si può incontrare su questa strada?

La fatica di stabilire rapporti e mantenerli. Uno stimolo continuo per mantenersi adeguati. Rabbia, per l’impotenza di fronte a molto potere (mass-media). Necessità per chi educa d’inventare modi sempre nuovi, creatività.

CreativitàBellezzaLibertà: questa è la nuova sintesi.

Nota bene: in assenza di ripresa video o audio questa elaborazione si basa su appunti. Di qui un duplice appello: chi ha elementi per migliorarla intervenga liberamente con un proprio commento sul blog; chi assente all’incontro desiderasse dei chiarimenti, ponga altrettanto liberamente le proprie domande ed avrà risposta.

08/05/2010 – “Il linguaggio del corpo come elaboratore di sensazioni ed emozioni” con Emerico Labarile

Sabato 8 maggio quinto incontro sulla strada “Corpo che sono e corpo che ho”, già battuta con l’inaugurazione di Davide Rondoni, il contributo in due momenti di Andrea Porcarelli e quello di Francesco Zappettini, che si sono addentrati in aspetti diversi ma tra loro intimamente correlati della corporeità umana.

È ora la volta di Emerico Labarile, medico psichiatra e psicoterapeuta, di cui sono programmati tre interventi a scadenze diverse, il primo – quello di sabato 8 appunto – con l’accattivante titolo “Il linguaggio del corpo come elaboratore di sensazioni ed emozioni”. Non occorre sottolineare il valore dell’opportunità offerta, vista la competenza del Relatore che da moltissimi anni si dedica allo studio di problemi di psicologia clinica ed espressiva. Per quanti volessero anticipatamente approfondire diamo un breve saggio delle sue opere, alcune delle quali in compartecipazione:

E. Labarile, La psicologia della scrittura in psichiatria, Istituto Indagini Psicologiche, Milano 1973.

E. Labarile – G. Spaggiari, L’etilismo e le sue motivazioni dalla scrittura, Istituto Indagini Psicologiche, Milano 1979.

E. Labarile – G. Spaggiari, Guida all’interpretazione – Anoressia – Bulimia, Centro programmazione editoriale, San Prospero (MO) 1992.

E. Labarile, Luci ed ombre: riflessioni su poesia arte grafo-pittorica nell’anoressiabulimia, Centro programmazione editoriale, San Prospero (MO) 1992.

E. Labarile, Il fiore a due facce (in preparazione).

In questi due ultime monografie l’Autore tenta di mettere in risalto gli aspetti più belli e, nello stesso tempo, più struggenti del vissuto anoressico, al fine di offrire un contributo culturale, professionale e di aggiornamento per tutti coloro che sono impegnati in attività psico-educative.

Tutti sono invitati a partecipare, nell’Oratorio San Giovanni Bosco in Sant’Ilario d’Enza (RE), piazza IV Novembre, ore 18,00.

Porcarelli 2 in sintesi

Andrea Porcarelli
Andrea Porcarelli

Presentiamo la sintesi del secondo intervento tenuto lo scorso 10 aprile da Andrea Porcarelli sulla strada “Corpo che sono e corpo che ho”, con il titolo “Identità della persona tra dimensione corporea e dimensione spirituale”, che ha costituito la pars construens del complessivo contributo del Relatore a Inventori di strade.

Affrontare il tema con uno sguardo contemplativo per riuscire a vedere quello che pure abbiamo sempre sotto gli occhi, ma non riusciamo a vedere. Il rischio è proprio il non avere più la capacità di meravigliarsi di nulla, perché si considera tutto quanto cade sotto gli occhi della mente come ovvio. Cos’è in realtà l’ovvio? Dal latino “obvius” = “ciò che si trova per la strada”, quindi ciò che cade sempre sotto gli occhi e non desta meraviglia. Per noi l’essere totalmente assorbiti dalle preoccupazioni della quotidianità, tanto da non lasciarci smuovere da nulla, appunto perché ogni fatto ci sembra ovvio.

“Identità della persona”: cosa intendiamo per “persona” umana? È un termine di cui la nostra cultura è debitrice verso il cristianesimo. “Persona”, secondo san Tommaso d’Aquino, è un nome che sta a sottolineare una particolare dignità, è un nome che si applica a tutti coloro che sono “sussistenti”, ovvero di natura spirituale: le “Persone” divine; le creature spirituali, angeli e demoni; la “persona” umana. Essere “persona” è il modo di esistere più elevato, quello di chi esercita l’atto di essere nella natura spirituale. In genere, nel nostro guardare gli altri, fissiamo l’attenzione sul modo di agire, che però è conseguenza del modo di essere. Dobbiamo guardare invece la persona umana a partire dall’alto, a partire dalla sua natura spirituale.

Le attività spirituali sono quelle dell’intelligenza e della volontà. Usare l’intelligenza, cioè saper vedere al di sotto dell’apparenza, capire, conoscere, calcolare. Usare la volontà, per tendere ai beni di natura spirituale, mentre spontaneamente si tende ai beni materiali, sotto l’effetto della sola tendenza emozionale. La nostra volontà è libera perché nessuno dei beni finiti è tale da attrarla in modo invincibile. Avere la capacità di volere per gli altri il bene che spontaneamente vogliamo per noi. Tutti vogliono spontaneamente essere felici, tutti aspirano alla felicità. Questo desiderio ha una caratteristica unica: questo bene possiamo volerlo anche per qualcun altro, con lo stesso atto della nostra volontà.

Vi è una triplice tendenza alla base della vitalità spirituale. I beni di natura spirituale sono fatti per essere condivisi, mentre i beni materiali sono obiettivo di un possesso che esclude gli altri. L’idea che condivido con altri si rafforza anche in me. I valori di natura spirituale non sono escludenti, ma hanno un’esistenza più forte quando sono condivisi.

Vi è un triplice dinamismo nella natura spirituale: l’intelligenza è strutturalmente insaziabile, è continuamente stimolata dalla ricerca del più e del meglio, è aperta all’infinito; anche la nostra capacità di desiderare è aperta all’infinito, l’apertura al desiderio non trova un limite intrinseco; volere il bene di qualcun altro, ci chiediamo sempre se possiamo amare di più e sempre rispondiamo di sì, non si può trovare un limite alla capacità di amare di più e meglio.

Un secondo elemento: la persona umana rispetto a tutti gli altri esseri ha una sua specificità perché è fatta per esistere con un’anima spirituale, unita strettamente alla forma di un corpo fisico. L’anima umana si trova come sulla linea di confine tra la sostanza corporea e la sostanza spirituale, cittadina di due mondi. L’uomo è l’unico essere corporeo dell’universo capace di muoversi su questi confini. Per questo la persona umana richiede di essere educata, perché non nasce già con tutte le sue capacità operative sviluppate. La persona umana è fatta per imparare poco a poco, per conquistare giorno per giorno la capacità di vivere la sua vitalità spirituale.

Dalle catechesi di Giovanni Paolo II sull’amore umano. “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gen 1,26): prima di creare l’uomo, il Creatore quasi rientra in se stesso per cercarne il modello e l’ispirazione nel mistero del suo Essere, che già qui si manifesta in qualche modo come il “Noi” divino, Da questo mistero scaturisce, per via di creazione, l’essere umano. La corporeità umana non può essere letta secondo la deriva materialistica, ma neppure in termini dualistici, di contrapposizione tra corpo e spirito. L’atto creativo di Dio crea unitariamente fisicità e spiritualità. In questa realtà si pone anche la promessa della Resurrezione: unificazione tra spirito e corpo. Vivere quindi nell’unità psico-fisica: accompagnare il cammino della crescita nella fisicità con la crescita nella spiritualità. Come c’è la crescita fisica, così deve esserci anche la crescita nella sapienza e nella grazia. Come Gesù crescere “in età, sapienza e grazia” (cfr. Lc 2,52).

Su questo cammino si incontrano due ostacoli. Il primo sono le ferite del peccato: questo cammino di piena conquista è così soggetto ad urtare in pietre di inciampo, per cui occorre un lavoro supplementare di educazione interiore. Secondo ostacolo è quello della cultura dominante, con cui occorre confrontarsi nel rischio continuo di cedere alla sua suggestione. Dalla cultura dominante viene la sollecitazione ad adagiarsi nel “così fan tutti”, e “ma che male c’è?”, e “perché dovrei fare il contrario?”, soprattutto se questo mi chiede anche della fatica in più. Dalle buone intenzioni bisogna poi ancora muoversi in cammino verso le buone opere, entrando nell’elemento centrale del cammino educativo. Già Aristotele diceva che non è facile, se pure si è individuato un orientamento retto, avere la volontà e la capacità di seguirlo. Si deve costruire la propria identità, scontrandosi con le spigolosità che si incontrano al proprio interno, combattendo il rischio di confondere la propria autenticità con la rinuncia a migliorarsi. Spesso ci si sente portati a fare quello che non si vorrebbe fare, perché si riconosce che non è bene, ma si è troppo deboli per rifiutarlo. Prendiamo forza dalla frase-confessione di Oscar Wilde: “Non ero più capitano di me stesso”, per affermare invece con forza: “Voglio essere capitano di me stesso!”.

Ecco allora il fondamento di quest’opera: la ricerca di conquista delle quattro virtù cardinali, sulle quali poggiare tutti gli sforzi per costruire la propria vita etica: saggezza, giustizia, fortezza, temperanza.

  1. La saggezza, o prudenza, è la virtù che guida i giudizi della ragion pratica, nel momento di prendere una decisione concreta. Sapere quello che bisogna fare e, nello stesso tempo, saper allenare la mente per vedere quello che è giusto fare. Essere fedeli a se stessi.
  2. La giustizia, come esercizio di una volontà retta nel rapporto con gli altri. Onestà nel comportamento, nelle relazioni, nel prendere le decisioni. Saper capire i bisogni di tutti per guidarsi alle decisioni da prendere. A questa virtù fa capo anche la sincerità, perché la prima esigenza della giustizia è proporre la verità. E alla giustizia si sposa anche la gratitudine, il riconoscere quello che si riceve.
  3. La fortezza guida alla capacità di reagire di fronte alle difficoltà, contro la tentazione del “lasciar perdere”. L’esempio sublime della fortezza è il sacrificio di un martire. Più semplicemente chiediamoci cosa possa costare chiedere scusa a qualcuno perché si riconosce di essere in torto verso di lui. La fortezza di saper riconoscere le proprie colpe e le proprie debolezze, per decidere anche noi: “Tornerò da mio Padre!”. Vorrei tanto nascondermi, ma capisco che devo vincermi, devo superarmi. Alla fortezza si lega anche la pazienza: la pazienza nelle cose piccole aiuta a superare con fortezza le prove grandi, aiuta a temprare l’anima.
  4. La temperanza è la capacità di moderare l’attrattiva di ciò che ci attira in modo illecito. Occorre mettere in conto con serenità che è perfettamente normale essere attirati verso le cose che toccano i nostri sensi. Essere capaci però di pensare che ciò che attira non necessariamente deve soggiogare. “Sono io il capitano della nave!”, e allora, come Ulisse, posso anche andare incontro alle “sirene”, ma so legarmi all’albero della nave per passare oltre senza cadere, nella mia libertà. Saper costruire giorno dopo giorno una saggia indipendenza da ciò che attrae. Fare un allenamento quotidiano, anche attraverso qualche rinuncia voluta, allo scopo di essere sempre di più padroni di se stessi. Saper resistere e passare oltre, mentre le “sirene” del mondo ci ripetono continuamente: “Ma che male c’è?”.

Il fatto di esistere come persone umane su questa linea di confine tra sostanze corporee e sostanze spirituali è ciò che appartiene strettamente alla nostra realtà di vita: seguire un percorso, prima affiancati da altri nella propria educazione, poi sapersi accompagnare da soli, con la propria coscienza maturata. Essere sempre padroni di se stessi e protagonisti alla guida del proprio cammino. Certamente, la realtà del mondo in cui viviamo non aiuta, ma è sempre stato così, anche in tempi diversi dal nostro. “Essere capitani della nave!”. Nessuna di queste virtù funziona però se è vissuta come un ordine imposto dall’esterno, ma solo se è interiorizzata. Il dinamismo delle virtù cresce nell’interiorità attraverso un cammino progressivo di conquista, in un desiderio di bellezza interiore altrettanto forte del desiderio di bellezza esteriore. Compito interiore di ciascuno è lasciarsi sedurre dalla dignità della persona umana, saper riconoscere e rispettare, saper valorizzare questa dignità.

22/04/2010 – “Educare e crescere: una sfida dell’odierna complessità” con Francesco Zappettini

Francesco Zappettini
Francesco Zappettini

Giovedì 22 aprile il quarto incontro sulla strada “Corpo che sono e corpo che ho” che si inoltra nei molteplici aspetti della crescita e dello sviluppo dell’identità personale (corporea, psicologica, spirituale) nella società complessa.

Dopo l’esordio con Davide Rondoni ed il doppio contributo di Andrea Porcarelli, l’appuntamento di Inventori di strade è questa volta con Francesco Zappettini, psicologo e psicoterapeuta, consulente di servizi per l’infanzia.

Il tema – “Educare e crescere: una sfida dell’odierna complessità” – si innesta su quelli già svolti per delineare le possibili risposte agli interrogativi che da essi nascono sul piano della formazione della persona di fronte ad una società che rapidamente si evolve.

Tutti sono invitati a partecipare, nell’Oratorio San Giovanni Bosco in Sant’Ilario d’Enza (RE), piazza IV Novembre, ore 20,30.

Risurrezione

“Prima di risorgere egli è «disceso agli inferi», nel fondo oscuro della storia e della materia, per darle energia e direzione verso la luce, l’amore, la libertà. Se io comincio a pensare che nelle profondità della materia e della mia carne, nelle parti più oscure del mio essere, egli è disceso per illuminare e trasfigurare, per risuscitare amore e bellezza, allora anch’io partecipo della risurrezione di Cristo che risorge per l’eternità dal fondo del mio essere, energia che ascende, germe di vita, vita germinante. Pasqua è la festa dei macigni rotolati via dall’imboccatura del cuore e dell’anima. E ne usciamo pronti alla primavera di rapporti nuovi, trascinati in alto dal Cristo risorgente” (Ermes Ronchi).

Inventori di strade augura a tutti una Santa Pasqua di Risurrezione, nella quale siano rotolati via i macigni dal cuore e fiorisca la primavera di rapporti nuovi, e quale segno di concentrazione sul Mistero sospende per la Settimana Santa ogni attività.

Arcabas - La Risurrezione
Arcabas, La risurrezione (olio su tela, dal polittico “Passion-Résurrection” – Montaigu, Belgio). Con la gentile autorizzazione dell’Autore – http://www.arcabas.com

Porcarelli 1 in sintesi

Andrea Porcarelli
Andrea Porcarelli

Presentiamo la sintesi del primo intervento tenuto lo scorso 20 marzo da Andrea Porcarelli sulla strada “Corpo che sono e corpo che ho”, con il titolo “Corporeità e sessualità nella cultura occidentale”, perché offra argomento di scambio sul blog e sia utile strumento di preparazione al prossimo intervento del 10 aprile: “Identità della persona tra dimensione corporea e dimensione spirituale”, con il quale il Relatore entrerà nella pars construens del suo complessivo contributo a Inventori di strade.

Viviamo immersi nella nostra cultura: allora è importante intercettare le ragioni e le idee che ne sono alla base. Radici prossime e remote che costituiscono questa mentalità.

Radici remote

  1. La categoria concettuale nota come “rivoluzione scientifica”. Cartesio (1596-1650) paragona il corpo a una macchina, pur senza essere un materialista. William Harvey nel 1628 pone l’analogia fra il cuore e la pompa, e si può così pensare che tutta la corporeità sia spiegabile con meccanismi circolatori. Carl Vogt nel 1854 giunge all’affermazione che “il pensiero sta al cervello come la bile sta al fegato” e questo archetipo concettuale è rimasto fino ai nostri giorni nella triangolazione corpo-macchina, scoperte scientifiche e scoperte medico-biologiche. Con il procedere della scienza, si arriva a pensare come plausibile che tutto sia macchina: plausibile, non convincentemente provato. Cervello = hardware, pensiero = software. Quest’immagine dell’uomo-macchina è passata da Cartesio al computer senza soluzione di continuità.
  2. Il modo in cui la nostra intelligenza si rapporta di fronte a ciò che ritiene meccanico. Aristotele ha detto che la nostra intelligenza di fronte alle realtà naturali si comporta come “misurata”, di fronte alle realtà artificiali si comporta come “misurante”. Maritain osserva: “Nell’artefatto tecnologico l’intelligenza umana trova un nodo di concetti che un’altra intelligenza pari alla sua ha annodato e che egli può sciogliere senza residuo”. A questo punto si elimina non solo un mistero divino ma anche un mistero naturale. La nostra corporeità ha invece elementi di mistero con cui bisogna misurarsi.
  3. Quando ci rapportiamo alle cose tecnologiche, noi abbiamo due mete: definirne la finalità e avere le capacità tecniche con cui dominare l’oggetto. Se applichiamo questo ragionamento tecnologico al corpo-macchina, pensiamo di non aver limiti nel piegarlo alla nostra volontà. Queste idee, se entrano nella mentalità corrente, diventano convinzioni irriflesse.
  4. Riguardo alla corporeità si aggiunge un ulteriore elemento: con lo sviluppo delle biotecnologie il limite di ciò che posso fare è fissato dalla richiesta che mi viene fatta e dalla mia capacità di soddisfarla. Ci vuole però anche una domanda etica: fino a che punto si può “fare”? Ma è evidente che se il corpo è una macchina questa domanda sul limite tra il tecnicamente possibile e il lecito nemmeno si pone.
  5. Altra conseguenza ancora: se la corporeità è pensata a immagine della macchina, come la macchina, quando non funziona più si rottama: ecco la richiesta eutanasica.

 

Radici prossime

  1. Il progressivo processo di secolarizzazione della cultura (“secolarizzazione” in sociologia significa una sempre minore incidenza del fattore religioso nei processi sociali) è qualcosa di più sottile. Mentre gli illuministi, pur essendo profondamente laici, non negavano la loro matrice cristiana, oggi la situazione è ribaltata: i cattolici che hanno responsabilità pubbliche nascondono e quasi si scusano della loro identità cristiana.
  2. Si è avuta un’evoluzione dei riferimenti di tipo etico, passando da una cultura diffusa di pluralismo etico a quella che viene chiamata società “liquida” o eticamente neutra. Nella società pluralista io so che la mia scelta identitaria è qualcosa di ben definito di fronte a tante opzioni possibili, mentre la società neutra si caratterizza per una pluralità indifferenziata di modelli etici che la persona può di volta in volta assumere anche se fra loro contraddittori, perché a ogni modello corrisponde un’identità a sé.
  3. Infine il passaggio da una visione della sessualità in generale sintonica con l’idea cristiana a quella che è stata chiamata “rivoluzione sessuale”, che ha portato a legittimare come modelli comportamentali comportamenti che ci sono sì sempre stati, ma non hanno mai preteso di essere legittimati.
  4. In un mondo così pluralisticamente indifferenziato ci si forma l’idea che si possano avere anche più identità, anche in contrasto fra di loro, perché nell’insieme ogni ambiente ha le sue regole alle quali mi adeguo, così che posso essere “diverso” a seconda dell’ambiente in cui mi trovo. È chiaro che chi cresce in una società del genere, eticamente neutra, ha un’oggettiva difficoltà a formarsi un’identità.
  5. La rivoluzione sessuale, iniziata nel secondo dopoguerra, ha determinato un cambiamento dei comportamenti ma, ciò che è più importante, della concezione stessa della sessualità. Negli anni ’60 il mito dei “vitelloni” in forma lieve, senza proporsi come modello, passa l’idea che la sessualità fuori del matrimonio sia una cosa bella e divertente. Negli anni ’70, con l’affermarsi dei movimenti femministi, abbiamo un elemento di tutt’altra matrice culturale, paradossalmente opposto, che colloca il progetto di rivoluzione sessuale al centro d’una rivolta contro la borghesia, identificata con i valori etici cristiani che ne costituiscono la spina dorsale. Con un lucido disegno (Marcuse e altri) incidendo su questi valori si vuole scardinare una società, scardinare una morale accettata per secoli, figlia del cristianesimo, su cui anche i laici convenivano, da abbattere perché morale borghese e maschilista. Si fa strada l’idea che liberi la donna la liberazione dalla sessualità monogamica e potenzialmente procreativa.
  6. In questi anni di fortissime pressioni culturali s’insinua anche con successo l’idea che non è necessario che le leggi della società tengano conto delle prospettive morali. Perché imporre ad altri la propria morale? L’idea che l’indissolubilità del matrimonio sia un optional, lo sviluppo della mentalità contraccettiva e il concetto di “cosalizzazione” – perciò manipolabile – dell’embrione, si fanno strada ed hanno un effetto-valanga di comportamenti socialmente diffusi in una società neutra.
  7. Dopo aver slegato la sessualità dalla coniugalità, la procreazione dalla coniugalità e la procreazione dalla sessualità, abbiamo oggi la tendenza prorompente di dividere anche la sessualità dall’identità sessuale. Secondo la teoria del gender, la sessualità è solo una questione di gusti, teoria più virulenta delle altre perché più giovane, e deve affermarsi.

Conclusioni. Mantenere l’attenzione critica. Per i giovani le sollecitazioni arrivano da tante parti che è impossibile intercettarle. Dobbiamo giocare al rialzo: accorgersi dell’errore e affermare con forza la verità. “La verità è forte in se stessa”. Il vero problema non è far tacere la voce dell’errore ma quello di credere nella forza della verità e farla parlare.